lunedì 19 luglio 2010

Storia della pellicola amatoriale: il Super8


Il Super 8

Nel senso comune, il Super 8 è il formato cinematografico amatoriale per eccellenza. Infatti, la sua introduzione rappresenta l'esplosione della pratica cineamatoriale come fenomeno di massa, a partire dalla metà degli anni Sessanta. Ma ricordiamo che il cinema amatoriale è nato alle origini del cinema ed è stato praticato fin dagli anni '20 (16mm e 9,5mm) e '30 (8mm).

Il formato Super8 venne introdotto dalla Kodak nel 1965, quando il mercato del cinema amatoriale era ormai in fortissima espansione in tutto il mondo. Quasi ovunque operatori dilettanti si impegnavano a girare i loro film, sia a soggetto, sia puramente descrittivi delle loro vacanze o di avvenimenti pubblici. Film divenuti patrimonio della storia di una nazione come la pellicola con la quale Abraham Zapruder riprese, con la sua cinepresa 8 mm, l'assassinio di John Fitzgerald Kennedy a Dallas.





L'8 mm (detto anche "Doppio 8", perché la pellicola era in realtà una 16 mm e veniva tagliata longitudinalmente dopo lo sviluppo) utilizzato sino a quel momento forniva risultati egregi, ma non era di facile impiego. Il caricamento del film era manuale e doveva avvenire all'ombra o, ancora meglio, al buio. Richiedeva, inoltre (proprio perché la pellicola era in realtà a 16 mm), un doppio caricamento della cinepresa. Per questa ragione la Kodak iniziò a pensare di introdurre un nuovo formato di più facile utilizzo. I dirigenti della casa di Rochester individuarono due linee guida: il nuovo formato doveva essere contenuto in caricatori (oggi sarebbero definiti "cartucce") e doveva impiegare in modo più razionale lo spazio disponibile sulla fettuccia di pellicola (sempre larga 8 mm).

Nacque così il Super 8 mm (aprile 1965). Rispetto all'8 mm le perforazioni erano più piccole, così da far guadagnare spazio al fotogramma (circa il 50% più grande: 5,36 mm x 4,01 mm contro 4,37 mm x 3,28 mm del formato precedente) e lasciare spazio per la colonna sonora magnetica (inizialmente la pellicola Super 8 venne però commercializzata in caricatori senza pista magnetica). Nei caricatori con pista magnetica (proposti al mercato solo qualche anno dopo) entrambi i lati del film ospitavano una sottile striscia di nastro magnetico, rispettivamente di 0,8 mm e 0,45 mm. La prima (pista principale) era destinata a ospitare la colonna sonora; la seconda (pista secondaria), che in origine era solo una "pista di compensazione" (aveva cioè lo scopo di evitare che lo spessore della pellicola fosse diverso sui due lati), venne in seguito usata come seconda pista audio stereo (in tal caso destinando la prima al canale sinistro, la seconda al canale destro di una registrazione stereofonica) o come pista supplementare per montaggi sonori (quando vennero messe in vendita cineprese in grado di registrare il suono in presa diretta sulla pista principale).

Con questo nuovo formato inoltre la Kodak standardizzò la ripresa a 18 ft/s (fotogrammi al secondo). Col precedente formato 8 mm le riprese venivano invece solitamente effettuate a 16 ft/s (la velocità di 18 ft/s era standard solo per le cineprese Bolex Paillard).



Il caricatore Super 8 progettato dalla Kodak aveva però due difetti. Il primo era dovuto al pressore, destinato a tenere fermo il film sul piano focale durante il funzionamento della cinepresa, che era stato incorporato nel caricatore, ed era di plastica. In tutte le cineprese prodotte sino a quel momento, di qualunque formato esse fossero, il pressore era in acciaio ed incorporato nelle stesse: ciò assicurava un'assoluta costanza nella resa e nella stabilità della messa a fuoco. Il secondo era dovuto al fatto che il caricatore non consentiva alla cinepresa di svolgere la pellicola a ritroso, rendendo così impossibile la dissolvenza incrociata. Solo quest'ultimo fu in seguito superato dall'ingegnosità dei progettisti di cineprese.

I difetti insiti nel caricatore Super 8 vennero eliminati dalla Fujifilm col caricatore Single 8, che non ebbe però la stessa fortuna del Super 8. Infatti i fabbricanti di pellicole, salvo appunto la Fujifilm, adottarono il sistema Super 8.

Nonostante i difetti progettuali di fondo che ne hanno certamente limitato le prestazioni, il Super 8 è un formato comunque molto usato ancora oggi. Dopo un periodo di relativo oblio, causato dall'avvento delle videocamere , dalla seconda metà degli anni '90 il Super 8 è stato oggetto di una rinascita. Attualmente la Kodak fornisce molte pellicole, invertibili, negative, in bn e a colori. Esso viene adoperato, oltre che da vari cineamatori evoluti, da molti cineasti per produzioni indipendenti a basso costo, ma soprattutto per pubblicità e videoclip
(da Wikipedia).



mercoledì 7 luglio 2010

Antonio Marchi, Cinesperimentalista



COME UN CANTO. APPUNTI E IMMAGINI DI UN REGISTA DIMENTICATO
(Italia, 2009, 25’); a cura di Claudio Giapponesi, Mirko Grasso, Paolo Simoni
Produzione: Kiné – Home Movies – Istituto Storico Parri
Immagini 16mm di Antonio Marchi (1940-1945)
Compilazione dei film amatoriali di Antonio Marchi, girati in 16mm tra il 1940 e il 1945, a Parma e dintorni. Le immagini sono state sonorizzate ed è stato aggiunto un testo ricavato da appunti e note critiche dello stesso Marchi (1923-2003), giovane intellettuale e filmmaker formatosi sotto il fascismo, che subito dopo la guerra – per circa un decennio – si è contraddistinto per un’intesa attività come critico, regista e produttore cinematografico.

Qualcuno ricordava Marchi, ragazzo con la cinepresa, all’inizio della Guerra, nel periodo dopo l’8 settembre, e nei giorni della Liberazione. Questo scorcio di tempo è importantissimo per Marchi, che compì vent’anni nel 1943: è il periodo della sua formazione, ma anche dei suoi primi lavori di cineasta e intellettuale. Ora queste preziose immagini, dense e rarefatte, a colori e in bianco e nero, finalmente sono state recuperate. Che farne? Prima di tutto è necessario guardarle con attenzione. I film amatoriali di Marchi sono estremamente significativi, perché documentano la sua storia e costituiscono una parte significativa e assai preziosa della memoria filmica del territorio parmigiano, e perchè possiedono un valore estetico e una poeticità non comuni. (…)
Nelle bobine 16mm sono assemblati film montati o sequenze girate senza un ordine apparente. Si susseguono scene costruite da Marchi con una regia, di difficile interpretazione e collocazione, e riprese “libere”, non montate, del paesaggio urbano e rurale. Una sequenza (montata) si apre con una giovane donna, la sorella di Antonio, che stende i panni in giardino. Poi la vediamo leggere un libro su una sedia a dondolo prima che venga raggiunta da altre due donne che intendono lavorare a maglia. Infine, arriva un’altra donna in bicicletta. Reca un mazzo di fiori e un giornale si legge “discorso di Hitler”. In questo quadro di estrema serenità, in cui non casualmente entra in scena la rivista Cinema, non può che dare un senso di vaga ma profonda inquietudine il riferimento all’attualità bellica. Il fascino di queste immagini è racchiuso anche nel suo mistero.
Il castello Monteghiarugolo è il vero protagonista dei film di Marchi, filmato come se fosse un personaggio austero, un testimone della Storia, di tanti secoli e della Guerra in corso. Il torrione del castello è un punto privilegiato d’osservazione (e di ripresa) che domina la pianura. In una sequenza compare una data, segnata sulla neve: il primo giorno dell’anno, “1 gennaio 1944”. È l’inverno più duro, un gruppo di donne gioca col cane, i giovani sono al fronte o saliti in montagna. Il giovane Marchi è uno “sbandato”, nascosto nel castello, forse le ragazze sono andate a trovarlo, e da lì filma il suo mondo, fatto di pietre e di particolari architettonici. Nella stessa pellicola giuntate subito dopo ci sono le sequenze estive di un gruppo di ragazzi spensierati al mare in Liguria, su una barca s’intravede Antonio. Ma la guerra dov’è? Nulla ci fa figurare del momento, se non, brevemente, la ripresa di una nave affondata.
Marchi ritrae con costanza il paesaggio: un ruscello, un ponte, una baracca, l’acqua che scende da un rivolo in mezzo alle pietre, un borgo nella nebbia invernale, il campanile di una chiesa dai vetri delle finestra, la pioggia, strade fatte con pietre irregolari, forme riflesse nell’acqua di una vasca, case in pietra dura. Filma gli incontri con le persone care. A Casarola s’intrattiene con amici. C’è il piccolo Bernardo Bertolucci che scorazza e gioca col padre Attilio, Antonio stesso finisce ritratto nel film, è l’unico momento in cui lo vediamo solo. Sullo sfondo, gli Appennini parmensi. Anche il paesaggio cittadino interessa Marchi. Una Parma autunnale e invernale, filmata nelle periferie. Figure di ragazzini dei bassi fondi si aggirano tra scambi ferroviari, il gasometro e le fabbriche. La via Paal e i ragazzi dei bassifondi del cinema americano non sono soggetti così lontani. Ma lo sguardo è di un obiettivo interessato alla plasticità e alla fissità dei volti e dei corpi, tradita solo per un momento da un sorriso involontario di un ragazzo in posa. E poi quegli stessi corpi in movimento, che scivolano sul fiume ghiacciato o si gettano nella lotta. La cinepresa di Marchi vuol cogliere o stilizzare una realtà ben diversa da quella del cinema di cartapesta. Il film più anomalo di Marchi ha un titolo tratto da una sorta di sceneggiatura, Una gita ai famosi prati di Lubecca. Una presa in giro dell’autoritarismo che mette in scena un gruppo di collegiali in gita capeggiate dalla direttrice, in un film femminile interpretato da ragazzi travestiti.
Infine, le sequenze più lunghe. L’interno del castello, e le merlature da cui si scorgono i tetti e il fumo dei comignoli, l’inverno a Monteghiarugolo tra il ’44 e il ‘45. Marchi passò molto tempo nascosto nel castello, la sua dimora, il luogo dove leggeva e scriveva. Il film di cui queste immagini cupe compongono la prima parte è intitolato La liberazione di Montechiarugolo. È l’unico film compiuto, girato e montato con le didascalie negli ultimi mesi della Guerra e verosimilmente nei mesi successivi alla Liberazione. Simbolismo della natura e la storia convergono a Montechiarugolo, il tempo ciclico ed eterno delle stagioni si sovrappongo agli ultimi momenti bellici. Con la primavera arrivano i partigiani e gli alleati. La guerra è finita e si comincia a ballare. Gli uccelli finalmente possono volare liberi.
Paolo Simoni, Antonio Marchi Cinesperimentalista (1940-1945), in M. Grasso, Cinema primo amore. Storia del regista Antonio Marchi, Kurumuny 2010.

giovedì 1 luglio 2010

abecedario

A
Archivio del cinema amatoriale e del film di famiglia
La parola archivio sta "all'inizio", necessariamente, ma anche alla fine di un lungo processo che inizia con la raccolta dei film.
L'Archivio Nazionale del Film di Famiglia è un archivio storico la cui missione è salvare le memorie filmiche private: le pellicole 9,5mm Pathé Baby, 16mm, 8mm e Super 8 girate principalmente in famiglia tra gli anni ’20 e ’80 del secolo scorso.
www.homemovies.it

B
Bobina: unità minima che viene raccolta in un archivio, ne esistono di vari formati e lunghezze. Ogni bobina appartiene a un fondo.

C
Catherine
La collezione di film, trovata a Parigi nel mercato delle pulci di Port de Clignacourt, che ha dato origine all'idea di un archivio di home movies.

D
Donatore
La persona che dona i film della propria famiglia all'Archivio partecipando al progetto culturale che esso propone.

E
Exploding
Piccola rivista di cinema sperimentale francese, primi anni duemila. Numeri monografici su Ken Jacobs e la cartografia del found-footage, dedicata alle pratiche di riuso dei materiali filmici.

F
Forgacs, Peter
Archeologo della memoria e media artist. Pioniere del riuso del film di famiglia e autore di documentari sperimentali.
www.forgacspeter.hu

G
Gorizia
Città in cui ha sede il laboratorio universitario La Camera Ottica, partner di progetti innovativi come il recupero dei fondi Togni e Neri, e dello sviluppo di un sistema a scansione per la digitalizzazione del 9,5mm.
http://labcinema.uniud.it/


H
Home Movie Day. Giornata mondiale del film di famiglia, celebrata in tutto il mondo a partire dal 2003 (in Italia dal 2004).
www.homemovieday.com


I
Isaia, S. Via
Sede bolognese, nell'ex convento di S. Mattia.

K
Karianne
La bambina della testata del blog, tra le prime donatrici dell'archivio, ora responsabile dell'Archivio e della Catalogazione.

L
luoghi


M
Mekas

N


O
Olanda
Hilversum, località in cui si trovava lo Smalfilmmuseum, archivio olandese modello della costitituzione di un archivio nazionale, visitato nel 2002-
Sul lavoro che si svolgeva è stato realizzato un documentario, What stays Moves.

P
Pellicole / Persone

R

S

T

U


V
Vinazzetti

Z
Zimmermann

mercoledì 30 giugno 2010

amatoriale

Lo stesso termine “amatoriale” designa qualcosa di ambiguo: da un lato, si riferisce alla passione verso qualcosa, un’attività; dall’altro, rimanda al fatto di esercitare tale pratica senza una competenza strutturata, da dilettante insomma

Bobine



Una bobina 8mm in una scatola di metalo: le scritte apposte su di essa dovrebbero attestarne il contenuto: "Vita famigliare 1958-59". Altre scritte sono indicazioni da tenere presenti, così come tutti i dati che riguardano la pellicola: lunghezza, stato fisico, marca, sistema colore o bianco e nero, presenza di una traccia sonora o no, numero delle giunte, ecc... Questo per quanto riguarda la bobina, ma potrebbero servirci molte altre informazioni per "archiviarla", soprattutto informazioni sulle persone che hanno girato il film che ora rappresenta ciò che resta, una traccia / un'orma. Le immagini hanno una memoria, la mantengono e la preservano, oppure no? Le stesse bobine, oggetti di poco conto dimenticati nelle soffitte o buttati nelle discariche, trattengono qualcosa del loro tempo... Forse Walter Benjamin avrebbe detto che questi oggetti tondi potrebbero costituire il legame tangibile, che letteramente si può toccare, di un'altra epoca (vi è la cultura, sul piano materiale e simbolico, quando le maneggiamo non è come trattare un'immagine digitalizzata, ovvero solo la riproduzone di una pellicola).

L'8mm è il formato classico del cinema amatoriale. Fu introdotto nel 1932. Fino al 1965, quando arrivò il Super8, è il formato più diffuso

martedì 29 giugno 2010

All'origine



Il primo film di famiglia è dei fratelli Lumière. Fu presentato nella celebre prima proiezione parigina del dicembre 1895. Con questa brevissima pellicola 35mm i Lumière volevano mostrare che il cinema, questa nuova forma di fotografia animata, sarebbe stato lo strumento adatto per "registrare" gli avvenimenti della propria vita, a futura memoria. La nascita del cinema è la nascita del cinema di famiglia. Ma passarono almeno altri vent'anni perché quest'idea da impresari che volevano vendere macchine da presa, proiettori e pellicole alle famiglie borghesi potesse attuarsi concretamente. Solo tra il 1922 e il 1923 furono messi sul mercato due formati di pellicola e i relativi apparati tecnici rivoluzionari: il 16mm della Kodak e il 9,5mm Pathé Baby.

I formati filmici amatoriali dalle origini: Karianne Fiorini, Mirco Santi, Per una storia della tecnologia amatoriale (Comunicazioni Sociali n 3/2005) .pdf